martedì 4 dicembre 2012

Per un discorso cristiano di resistenza alla mafia

Atti del seminario di studio tenuto a San Cataldo (Caltanissetta) il 10 dicembre 1994
(Pagg. 158 - Salvatore Sciascia Editore - 10 euro - Collana diretta da Cataldo Naro )

PREMESSA DEL CURATORE

      Sono raccolte in questo volume le relazioni tenute nel seminario di studio sul tema: "Per un discorso cristiano di resistenza alla mafia. Le categorie teologico-morali di struttura di peccato e peccato sociale, organizzato dall'Associazione Amici di Argomenti e tenuto il 10 dicembre 1994 presso il Centro Studi Cammarata di San Cataldo.
       Non è stato possibile, purtroppo, trascrivere ed inserire nella raccolta tutti gli interventi dei partecipanti al dibattito seguito alle relazioni. Sono stati interventi - taluni molto puntuali e stimolanti - che da diversi punti di vista, hanno sviluppato le proposte dei relatori ed, anche, hanno lamentato carenze e apportato integrazioni nella comune riflessione. la mancata trascrizione di tutti gli interventi impedisce di cogliere la ricchezza di riflessione che il seminario è riuscito ad esprimere. Abbiamo inserito solo pochi interventi (Mons. M. Garsia vescovo di Caltanissetta - Mons. Liborio Campione - Don Vincenzo Sorce - Don Giuseppe Anzalone - Don Cosimo Scordato e Don Cataldo Naro) opportunamente rielaborati dagli autori per la pubblicazione. Da essi - in particolare da quello di Naro sul taglio "culturalista" del discorso della chiesa siciliana sulla mafia - traspare come il dibattito nel seminario si sia allargato alla più vasta problematica del confronto della chiesa siciliana col fenomeno mafioso. Con osservazioni e valutazioni che, talvolta, hanno contribuito ad ampliare e, nello stesso tempo, precisare il quadro della comune riflessione.
     Non è stato riportato l'intero dibattito. In compenso, però, è stata inserita nella raccolta un'appendice di Salvatore Privitera, docente di teologia morale nella Facoltà Teologica di Sicilia, in cui egli valuta piuttosto criticamente le proposte dei relatori del seminario, dando luogo così ad un confronto sul terreno specifico della teologia morale che certamente avrà un seguito, se non altro perché sollecita chiarificazioni ed approfondimenti concettuali e dottrinali. E val la pena notare che due dei relatori sono anch'essi teologi moralisti che vivono ed insegnano in Sicilia: Raimondo Frattallone che è docente nell'Istituto teologico salesiano "S. Tommaso" di Messina, ma ha anche tenuto corsi nella Facoltà teologica di Palermo e nello Studio teologico "S. Paolo" di Catania; e Gianpiero Tre Re che insegna nella Facoltà teologica di Palermo. Ma anche tra i partecipanti al seminario c'erano docenti e studiosi di teologia morale, tra i quali Giuseppe Anzalone, docente nell'Istituto teologico di Caltanissetta, il cui intervento è inserito nella raccolta. Sicché i testi pubblicati in questo volume - in particolare le relazioni di Frattallone e Tre Re, l'intervento di Anzalone e l'appendice di Privitera - possono considerarsi una piccola ma significativa testimonianza della riflessione che i teologi moralisticonducono in Sicilia sul delicato tema di resistenza alla mafia in cui la chiesa dell'isola è di fatto impegnata e su cui, perciò, non può non interrogarsi e riflettere. E' una riflessione -  questa dei teologi moralisti siciliani su temi riguardanti la mafia - appena agli inizi. In maniera evidente essa mostra e sconta questo carattere iniziale. Ma è importante che, comunque, sia iniziata.
     Alle stesse due relazioni dei teologi Tre Re e Frattallone segue, nel testo quella di Antonio Giliberto, docente di teologia dogmatica e preside dell'Istituto Teologico di Caltanissetta. Essa rappresenta un opportuno e, si può anche dire, necessario completamento della riflessione condotta nel seminario, prevalentemente incentrata sulle categorie teologico-morali di "struttura di peccato" e "peccato sociale". Giliberto tenta di trarre le conseguenze, sul piano della prassi ecclesiale, delle conclusioni cui giungono Tre Re e Frattallone nel campo teologico-morale. Si tratta di conseguenze di tipo pastorale - imperniate sul concetto di "pubblico peccatore" (o "peccatore manifesto" secondo la vigente normativa canonica) attribuito al mafioso battezzato, con le implicite ma ovvie conseguenze sul piano della disciplina ecclesiale, a cominciare dall'esclusione dai sacramenti - che lo stesso autore presenta in maniera piuttosto problematica.Non potrebbe essere altrimenti. Individuare una linea di prassi pastorale nei confronti degli affiliati alle cosche mafiose - che, non bisogna dimenticarlo, sono rigorosamente regolate dal segreto - non è cosa facile e, comunque, non appare adottabile in maniera uniforme dai pastori - particolarmente i parroci - in tutti e singoli i contesti locali ed ambientali della Sicilia.
     Però l'individuazione di categorie specificatamente ecclesiali e in particolare teologico-morali ("struttura di peccato", "peccato sociale", "peccatori") per parlare di mafia e mafiosi, risulta molto importante ed anzi indispensabile non tanto, almeno primariamente, per la comprensione del fenomeno ad integrazione della comprensione fornita dalle scienze umane (secondo un'osservazione del teologo Cosimo Scordato nel suo ampio ed interessante intervento in questo volume) e non tanto, principalmente, per la stessa elaborazione di una linea pastorale nei confronti dei mafiosi, quanto piuttosto ai fini dell'ordinaria opera di catechesi e formazione cristiana all'interno delle comunità ecclesiali in un ambiente inquinato dalla mafia. Sembrerebbe ovvio che l'appartenenza alla mafia e il comportamento mafioso (a cominciare dalla stessa affiliazione con riti che, a quanto si sa, sulla base delle recenti e dettagliate confessioni dei cosiddetti pentiti, rappresentano una sacrilega parodia di alcuni simboli della tradizione cristiana, e dall'impegno assunto dall'affiliato a usare sistematicamente violenza contro chiunque nell'interesse e in ubbidienza alla cosca) sono da considerare del tutto inaccettabili dalla coscienza cristiana. E, quindi, sembrerebbe che non sia il caso di farne oggetto di esplicito riferimento e di decisa condanna da parte della chiesa, specialmente nell'ordinario impegno formativo intraecclesiale. Eppure un tale "discorso" ecclesiale - con linguaggio propriamente cristiano - sulla mafia e mafiosi si impone come urgente non foss'altro per aiutare i fedeli nella valutazione, dal punto di vista della stessa fede cristiana, di un fenomeno che, comunque, spesso li tocca da vicino e li interpella in un modo o in un altro e che, come si sa, è risultato storicamente e risulta talvolta ancora oggi connesso con la cultura diffusa, se non altro tramite la deformazione e la strumentalizzazione dei suoi codici; sicché si impone, e un'opera di "discernimento" o, come alcuni preferiscono dire, di "risanamento"  di questa cultura da parte della comunità ecclesiale che in questa cultura diffusa vive e con essa deve pur sempre misurarsi, se qualche validità ha l'esigenza di "inculturazione della fede" di cui oggi tanto si parla in ambito ecclesiale. E, d'altra parte, un "discorso" cristiano sulla mafia si impone anche per evitare chela chiesa, facendo proprio esclusivamente il "discorso" che la società civile svolge sulla mafia, finisca col pensarsi e proporsi, secondo il rischio paventato da un noto teologo siciliano, meramente come "religione civile" smarrendo anche la capacità di rapportarsi evangelicamente a fenomeni di così triste e problematica evidenza come la mafia.
     Convinta dell'urgenza di elaborare un linguaggio cristiano sulla mafia o, meglio, sulla "resistenza" dei cristiani ad essa, L'Associazione "Amici di Argomenti" - dopo avere pubblicato gli atti di un precedente seminario su martirio e vita cristiana, con evidenti riflessi sulla testimonianza cristiana nella Sicilia d'oggi -, ha promosso il seminario sull'applicabilità delle categorie di  struttura di peccato e peccato sociale alla mafia ed ora offre la raccolta dei suoi atti all'attenzione, in particolare, delle chiese di Sicilia.
                                                    Stefano Diprima

Primo Sinodo della Chiesa di Caltanissetta

Il volume Chiesa Nissena in Cammino (pagg. 449 - Edizioni Lussografica) contiene i 38 inserti  pubblicati  da  "La Voce di Campofranco" durante lo svolgimento del Sinodo della Chiesa di Caltanissetta (dal settembre 1989 al maggio 1993). 

L’ing. Stefano Diprima è un laico, cristiano adulto, con la passione della ricerca, con la disponibilità a partecipare e a collaborare sia nella società che nella Chiesa, attraverso la maturità della sua fede che gli fa sentire forte l’urgenza dell’impegno nella storia, sia sul piano educativo sia sul piano politico, sia sul piano culturale ed ecclesiale.
Il volume che ha creato “Chiesa nissena in cammino. Accompagnando il primo Sinodo della Chiesa nissena”, è la testimonianza d’una fede creativa, d’un impegno ecclesiale puntuale, serio, rigoroso.
Come membro eletto del Sinodo ha accompagnato questo evento della Chiesa nissena dal di dentro, partecipando con i suoi interventi, con le sue competenze, con le sue esperienze.
Ha partecipato ai dibattiti, ai lavori delle commissioni, ha fatto parte del gruppo di appoggio per l’inchiesta socio-religiosa affidata al Prof. Roberto Cipriani dell’Università “La Sapienza” di Roma, della commissione emergenze sociali.
La sua vita in Azione Cattolica da socio e da Presidente, la sua partecipazione alla commissione pastorale regionale e al Consiglio pastorale diocesano, lo hanno reso attento e competente nel cammino sinodale nisseno.
Straordinario è stato l’apporto dell’Ing. Stefano Diprima sul piano della documentazione e della comunicazione intraecclesiale e con il mondo esterno.
Il libro è frutto d’un lavoro sapiente, certosino, di raccolta di notizie, informazioni, dibattiti, interventi, documenti, che gradualmente sono stati prodotti durante i lavori sinodali.
Una documentazione oggettiva e rispettosa della verità e, contemporaneamente, una paziente e puntuale comunicazione all’interno della comunità diocesana e con il territorio mediante il prestigioso giornale “La voce di Campofranco”.
Ha seguito il Sinodo anche attraverso l’approfondimento di particolari tematiche come la pastorale giovanile, verso quale società, una pastorale per vincere la mafia, parrocchia e territorio, i cattolici praticanti, adeguamento di impianti tecnologici.
Puntuali sono i resoconti dei lavori assembleari, vivaci le interviste ai vari responsabili del Sinodo.
In tutto questo c’è passione di Chiesa, voglia di rinnovamento, spinta al cambiamento, amore alla verità, volontà di tradurre in prassi pastorale le indicazioni conciliari.
Un lavoro prezioso ma non capito, anzi, criticato da chi è ancorato a sistemi clericali, ad incapacità di confronto, a difficoltà nel dialogo.
Il libro risulta un prezioso strumento per recuperare la memoria del primo Sinodo diocesano nisseno, esperienza, seppure problematica, di coralità ecclesiale, di corresponsabilità dei vari stati di vita, di partecipazione creativa di tutti i ministeri.
Uno strumento per far risorgere un evento carico di speranza e di futuro, consapevoli che non c’è identità senza memoria.
Don Vincenzo Sorce
         (2012)