martedì 4 dicembre 2012

Per un discorso cristiano di resistenza alla mafia

Atti del seminario di studio tenuto a San Cataldo (Caltanissetta) il 10 dicembre 1994
(Pagg. 158 - Salvatore Sciascia Editore - 10 euro - Collana diretta da Cataldo Naro )

PREMESSA DEL CURATORE

      Sono raccolte in questo volume le relazioni tenute nel seminario di studio sul tema: "Per un discorso cristiano di resistenza alla mafia. Le categorie teologico-morali di struttura di peccato e peccato sociale, organizzato dall'Associazione Amici di Argomenti e tenuto il 10 dicembre 1994 presso il Centro Studi Cammarata di San Cataldo.
       Non è stato possibile, purtroppo, trascrivere ed inserire nella raccolta tutti gli interventi dei partecipanti al dibattito seguito alle relazioni. Sono stati interventi - taluni molto puntuali e stimolanti - che da diversi punti di vista, hanno sviluppato le proposte dei relatori ed, anche, hanno lamentato carenze e apportato integrazioni nella comune riflessione. la mancata trascrizione di tutti gli interventi impedisce di cogliere la ricchezza di riflessione che il seminario è riuscito ad esprimere. Abbiamo inserito solo pochi interventi (Mons. M. Garsia vescovo di Caltanissetta - Mons. Liborio Campione - Don Vincenzo Sorce - Don Giuseppe Anzalone - Don Cosimo Scordato e Don Cataldo Naro) opportunamente rielaborati dagli autori per la pubblicazione. Da essi - in particolare da quello di Naro sul taglio "culturalista" del discorso della chiesa siciliana sulla mafia - traspare come il dibattito nel seminario si sia allargato alla più vasta problematica del confronto della chiesa siciliana col fenomeno mafioso. Con osservazioni e valutazioni che, talvolta, hanno contribuito ad ampliare e, nello stesso tempo, precisare il quadro della comune riflessione.
     Non è stato riportato l'intero dibattito. In compenso, però, è stata inserita nella raccolta un'appendice di Salvatore Privitera, docente di teologia morale nella Facoltà Teologica di Sicilia, in cui egli valuta piuttosto criticamente le proposte dei relatori del seminario, dando luogo così ad un confronto sul terreno specifico della teologia morale che certamente avrà un seguito, se non altro perché sollecita chiarificazioni ed approfondimenti concettuali e dottrinali. E val la pena notare che due dei relatori sono anch'essi teologi moralisti che vivono ed insegnano in Sicilia: Raimondo Frattallone che è docente nell'Istituto teologico salesiano "S. Tommaso" di Messina, ma ha anche tenuto corsi nella Facoltà teologica di Palermo e nello Studio teologico "S. Paolo" di Catania; e Gianpiero Tre Re che insegna nella Facoltà teologica di Palermo. Ma anche tra i partecipanti al seminario c'erano docenti e studiosi di teologia morale, tra i quali Giuseppe Anzalone, docente nell'Istituto teologico di Caltanissetta, il cui intervento è inserito nella raccolta. Sicché i testi pubblicati in questo volume - in particolare le relazioni di Frattallone e Tre Re, l'intervento di Anzalone e l'appendice di Privitera - possono considerarsi una piccola ma significativa testimonianza della riflessione che i teologi moralisticonducono in Sicilia sul delicato tema di resistenza alla mafia in cui la chiesa dell'isola è di fatto impegnata e su cui, perciò, non può non interrogarsi e riflettere. E' una riflessione -  questa dei teologi moralisti siciliani su temi riguardanti la mafia - appena agli inizi. In maniera evidente essa mostra e sconta questo carattere iniziale. Ma è importante che, comunque, sia iniziata.
     Alle stesse due relazioni dei teologi Tre Re e Frattallone segue, nel testo quella di Antonio Giliberto, docente di teologia dogmatica e preside dell'Istituto Teologico di Caltanissetta. Essa rappresenta un opportuno e, si può anche dire, necessario completamento della riflessione condotta nel seminario, prevalentemente incentrata sulle categorie teologico-morali di "struttura di peccato" e "peccato sociale". Giliberto tenta di trarre le conseguenze, sul piano della prassi ecclesiale, delle conclusioni cui giungono Tre Re e Frattallone nel campo teologico-morale. Si tratta di conseguenze di tipo pastorale - imperniate sul concetto di "pubblico peccatore" (o "peccatore manifesto" secondo la vigente normativa canonica) attribuito al mafioso battezzato, con le implicite ma ovvie conseguenze sul piano della disciplina ecclesiale, a cominciare dall'esclusione dai sacramenti - che lo stesso autore presenta in maniera piuttosto problematica.Non potrebbe essere altrimenti. Individuare una linea di prassi pastorale nei confronti degli affiliati alle cosche mafiose - che, non bisogna dimenticarlo, sono rigorosamente regolate dal segreto - non è cosa facile e, comunque, non appare adottabile in maniera uniforme dai pastori - particolarmente i parroci - in tutti e singoli i contesti locali ed ambientali della Sicilia.
     Però l'individuazione di categorie specificatamente ecclesiali e in particolare teologico-morali ("struttura di peccato", "peccato sociale", "peccatori") per parlare di mafia e mafiosi, risulta molto importante ed anzi indispensabile non tanto, almeno primariamente, per la comprensione del fenomeno ad integrazione della comprensione fornita dalle scienze umane (secondo un'osservazione del teologo Cosimo Scordato nel suo ampio ed interessante intervento in questo volume) e non tanto, principalmente, per la stessa elaborazione di una linea pastorale nei confronti dei mafiosi, quanto piuttosto ai fini dell'ordinaria opera di catechesi e formazione cristiana all'interno delle comunità ecclesiali in un ambiente inquinato dalla mafia. Sembrerebbe ovvio che l'appartenenza alla mafia e il comportamento mafioso (a cominciare dalla stessa affiliazione con riti che, a quanto si sa, sulla base delle recenti e dettagliate confessioni dei cosiddetti pentiti, rappresentano una sacrilega parodia di alcuni simboli della tradizione cristiana, e dall'impegno assunto dall'affiliato a usare sistematicamente violenza contro chiunque nell'interesse e in ubbidienza alla cosca) sono da considerare del tutto inaccettabili dalla coscienza cristiana. E, quindi, sembrerebbe che non sia il caso di farne oggetto di esplicito riferimento e di decisa condanna da parte della chiesa, specialmente nell'ordinario impegno formativo intraecclesiale. Eppure un tale "discorso" ecclesiale - con linguaggio propriamente cristiano - sulla mafia e mafiosi si impone come urgente non foss'altro per aiutare i fedeli nella valutazione, dal punto di vista della stessa fede cristiana, di un fenomeno che, comunque, spesso li tocca da vicino e li interpella in un modo o in un altro e che, come si sa, è risultato storicamente e risulta talvolta ancora oggi connesso con la cultura diffusa, se non altro tramite la deformazione e la strumentalizzazione dei suoi codici; sicché si impone, e un'opera di "discernimento" o, come alcuni preferiscono dire, di "risanamento"  di questa cultura da parte della comunità ecclesiale che in questa cultura diffusa vive e con essa deve pur sempre misurarsi, se qualche validità ha l'esigenza di "inculturazione della fede" di cui oggi tanto si parla in ambito ecclesiale. E, d'altra parte, un "discorso" cristiano sulla mafia si impone anche per evitare chela chiesa, facendo proprio esclusivamente il "discorso" che la società civile svolge sulla mafia, finisca col pensarsi e proporsi, secondo il rischio paventato da un noto teologo siciliano, meramente come "religione civile" smarrendo anche la capacità di rapportarsi evangelicamente a fenomeni di così triste e problematica evidenza come la mafia.
     Convinta dell'urgenza di elaborare un linguaggio cristiano sulla mafia o, meglio, sulla "resistenza" dei cristiani ad essa, L'Associazione "Amici di Argomenti" - dopo avere pubblicato gli atti di un precedente seminario su martirio e vita cristiana, con evidenti riflessi sulla testimonianza cristiana nella Sicilia d'oggi -, ha promosso il seminario sull'applicabilità delle categorie di  struttura di peccato e peccato sociale alla mafia ed ora offre la raccolta dei suoi atti all'attenzione, in particolare, delle chiese di Sicilia.
                                                    Stefano Diprima

Primo Sinodo della Chiesa di Caltanissetta

Il volume Chiesa Nissena in Cammino (pagg. 449 - Edizioni Lussografica) contiene i 38 inserti  pubblicati  da  "La Voce di Campofranco" durante lo svolgimento del Sinodo della Chiesa di Caltanissetta (dal settembre 1989 al maggio 1993). 

L’ing. Stefano Diprima è un laico, cristiano adulto, con la passione della ricerca, con la disponibilità a partecipare e a collaborare sia nella società che nella Chiesa, attraverso la maturità della sua fede che gli fa sentire forte l’urgenza dell’impegno nella storia, sia sul piano educativo sia sul piano politico, sia sul piano culturale ed ecclesiale.
Il volume che ha creato “Chiesa nissena in cammino. Accompagnando il primo Sinodo della Chiesa nissena”, è la testimonianza d’una fede creativa, d’un impegno ecclesiale puntuale, serio, rigoroso.
Come membro eletto del Sinodo ha accompagnato questo evento della Chiesa nissena dal di dentro, partecipando con i suoi interventi, con le sue competenze, con le sue esperienze.
Ha partecipato ai dibattiti, ai lavori delle commissioni, ha fatto parte del gruppo di appoggio per l’inchiesta socio-religiosa affidata al Prof. Roberto Cipriani dell’Università “La Sapienza” di Roma, della commissione emergenze sociali.
La sua vita in Azione Cattolica da socio e da Presidente, la sua partecipazione alla commissione pastorale regionale e al Consiglio pastorale diocesano, lo hanno reso attento e competente nel cammino sinodale nisseno.
Straordinario è stato l’apporto dell’Ing. Stefano Diprima sul piano della documentazione e della comunicazione intraecclesiale e con il mondo esterno.
Il libro è frutto d’un lavoro sapiente, certosino, di raccolta di notizie, informazioni, dibattiti, interventi, documenti, che gradualmente sono stati prodotti durante i lavori sinodali.
Una documentazione oggettiva e rispettosa della verità e, contemporaneamente, una paziente e puntuale comunicazione all’interno della comunità diocesana e con il territorio mediante il prestigioso giornale “La voce di Campofranco”.
Ha seguito il Sinodo anche attraverso l’approfondimento di particolari tematiche come la pastorale giovanile, verso quale società, una pastorale per vincere la mafia, parrocchia e territorio, i cattolici praticanti, adeguamento di impianti tecnologici.
Puntuali sono i resoconti dei lavori assembleari, vivaci le interviste ai vari responsabili del Sinodo.
In tutto questo c’è passione di Chiesa, voglia di rinnovamento, spinta al cambiamento, amore alla verità, volontà di tradurre in prassi pastorale le indicazioni conciliari.
Un lavoro prezioso ma non capito, anzi, criticato da chi è ancorato a sistemi clericali, ad incapacità di confronto, a difficoltà nel dialogo.
Il libro risulta un prezioso strumento per recuperare la memoria del primo Sinodo diocesano nisseno, esperienza, seppure problematica, di coralità ecclesiale, di corresponsabilità dei vari stati di vita, di partecipazione creativa di tutti i ministeri.
Uno strumento per far risorgere un evento carico di speranza e di futuro, consapevoli che non c’è identità senza memoria.
Don Vincenzo Sorce
         (2012)

mercoledì 18 luglio 2012

"Legalità e santità"

L'importanza di fare bene il proprio dovere vale per tutti. E' quello che in una prospettiva religiosa, non certo della religiosità distorta delle mafie, il vescovo siciliano Cataldo Naro definiva "la santità vissuta". E spiegava proprio con riferimento alle terre di mafia: "Il cristiano agisce nella storia col dono della carità, allora abitando in un territorio come questo, il cristiano non può non vivere con questo intento: essere santo ogni giorno. E questo vale per tutti: per il carabiniere, per il politico, per il professore, per il bidello, per la guardia municipale..." In una prospettiva laica lo stesso vale per la scuola, i partiti, il sindacato, le professioni, il giornalismo.

Dal volume IL CONTAGIO di Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino (pag. 176) . Editore Laterza.




domenica 27 maggio 2012

Il capriolo ed i corvi.



  Sulle Alpi, nei pressi del monte Pelmo, vi era un piccolo paesetto con tanti bambini che spesso si riunivano in un campo per giocare sull’erba. Un giorno, mentre si riposavano scese verso di loro un capriolo che si avvicinò tanto che alcuni bambini lo poterono carezzare.  Alla stessa ora di ogni giorno avveniva l’incontro tra i bambini e il capriolo. Si sparse la notizia ed anche i bambini dei paesi vicini cominciarono a venire con i loro genitori per incontrare il capriolo che cominciò ad unirsi ai loro giochi. Era una cosa eccezionalmente bella.
  Si diceva che sulle montagne vicine e nei boschi limitrofi al campo dove i bambini giocavano con il capriolo, vi fossero anche dei lupi. Ma nessuno li aveva mai visti e, comunque, non disturbavano il capriolo.
  La presenza di quanti venivano ad incontrare il capriolo cominciò ad essere molto utile al  paesetto e aumentò il benessere dei negozi, dei bar, dei ristoranti. Tutti erano lieti e contenti.
  Il sindaco per fare l’interesse del paese mise delle guardie armate nei pressi di via Vat, dalla quale arrivava sempre il capriolo. Le guardie avevano il compito di proteggere il paese ed il capriolo dai lupi.
  Un giorno il capriolo non venne. I bambini aspettarono invano. Alcuni addirittura cominciarono a piangere.
   I genitori si mobilitarono ed iniziarono una ricerca nelle valli circostanti. Uno di essi vide dei corvi che mangiavano attorno a qualche cosa che non si vedeva bene cosa fosse. Si avvicinarono e videro che erano attorno alla pelle del capriolo che loro ben conoscevano.
  Andarono a parlare con il capo delle guardie, ma non ebbero alcuna risposta.
  Un bambino, figlio di una delle guardie, raccontò di avere mangiato della carne di capriolo ucciso dal padre. La notizia si sparse e così si capì che il capriolo era stato ucciso proprio da chi doveva proteggerlo.
  Il sindaco ed il capo delle guardie iniziarono ad indagare e si appostarono, non visti, su un colle vicino alla via Vat. Poterono così vedere che alcune guardie sparavano ai corvi a causa dei quali era stato scoperto che essi uccidevano i caprioli.
  Venne così a crearsi una situazione che ancora non è stata risolta:
     - i bambini non andarono più a giocare in quel campo;
     - i forestieri non vennero più nel paesetto ed in conseguenza si ridussero gli affari dei bar, dei ristoranti e
       dei negozi;
     -  il capo delle guardie fu costretto a dimettersi perché non solo non era riuscito a controllare il loro lavoro ma non aveva impedito che le guardie uccidessero il corvi;
     -  anche il sindaco si dimise perché non riuscì a licenziare le guardie infedeli in quanto esse erano state assunte con un contratto che non vietava espressamente l’uccisione dei caprioli e dei corvi;
     - anche molti cittadini di quel paesetto delle Alpi si trasferirono altrove e forse tra poco tempo il paesetto perderà l’autonomia amministrativa.
Stefano Diprima
27 maggio 2012




martedì 17 aprile 2012

Associazione Fabbricerie Italiane


Volume edito nel marzo 2012 dall'Associazione Fabbricerie d'Italia.

NUOVA LUCE
SUI MOSAICI DI MONREALE
È la prima pubblicazione che, nello scorso marzo 2012,  ha curato l’Associazione Fabbricerie Italiane costituita nel giugno del 2005 per dare a tutte le fabbricerie d’Italia (dal Duomo di Milano alla Procuratoria di San Marco a Venezia, dal Duomo di Siena a quello di Monreale, dall’Opera di Santa Maria del Fiore a Firenze alla Cattedrale di Parma ed a tutte le altre) un unico punto di riferimento in campo gestionale (schemi di contratti per i dipendenti, restauri, ecc.).
Su invito dell’Associazione, l’arcivescovo di Monreale Mons. Salvatore Di Cristina è stato invitato a scrivere la prefazione alla pubblicazione che qui di seguito viene trascritta.
PREFAZIONE
È stato più volte osservato, anche da voci autorevoli, che i mosaici del Duomo di Monreale, considerato proprio grazie ad essi monumento unico al mondo, furono pensati e di fatto sono stati vissuti lungo gli otto secoli della loro esistenza, nella diffusa consapevolezza che essi dovessero brillare, per così dire, di luce propria. Più esattamente, consentendo che a renderli visibili agli occhi dei fedeli fosse soltanto la luce naturale proveniente dalle finestre del sacro edificio e quella artificiale dei suoi lampadari pensili.
Solo dopo decenni dall’avvento dell’illuminazione elettrica, con il mutare sia del numero che della qualità dei loro fruitori – non più i soli fedeli monrealesi e pochi eccezionali visitatori ben selezionati e spesso illustri, ma bensì un pubblico sempre più largamente in crescita numerica e sempre meno selezionato, fino a quello attuale prodotto dal così detto turismo di massa, questa particolarissima modalità di fruizione dei mosaici del Duomo di Monreale è andata affievolendosi fino alla dimenticanza.
Al suo posto si è fatta sempre più strada, di anno in anno più insistente, la richiesta (perfino la pretesa) che fosse indispensabile metterli meglio in evidenza, i mosaici, anche indirizzando su di essi direttamente fasci più o meno consistenti della nuova luce artificiale. Ed è così che, a partire da un certo anno ormai remoto e fino all’inizio della messa in opera del nuovo impianto, la visita dei visitatori – in gruppi sempre più folti e sempre più frettolosi – ha potuto essere gratificata dalla felice opportunità di catturare i mosaici e di ammirarne quanto più possibile, tra un’accensione e l’altra di potenti proiettori elettrici, almeno la visione d’insieme.
Il nuovo impianto d’illuminazione, inaugurato la sera del 23 giugno 2011, ha messo fine a questa modalità per troppi versi impropria (e tecnicamente improvvida) di fruizione. Preceduto da un attento studio, condotto sulle caratteristiche di luminosità naturale del luogo e sulle possibilità offerte dalle più aggiornate tecniche di illuminazione – uno studio effettuato in due anni dagli ingegneri Stefano Diprima, Elia Musca e Luigi Pirino, con la consulenza tecnica del prof. Vincenzo Cataliotti dell’Università di Palermo -, si è potuto pervenire alla messa in opera di un impianto di illuminazione dei mosaici del Duomo di Monreale che ha quasi del miracoloso. Le caratteristiche dei corpi luminosi impiegati, tutte assolutamente rispettose delle norme a salvaguardia sia dell’incolumità delle persone che dei manufatti artistici, e la loro sapiente distribuzione e collocazione, hanno fatto sì che la luce diffusa sull’intero estesissimo parato musivo, oltre a non offendere più la delicatezza cromatica dei mosaici e la vista dei visitatori più esigenti, restituisse ai mosaici la loro antica suggestione creativa, tornando cioè a trasmettere l’impressione estatica che siano essi stessi ad emanare luce.
Questo miracolo di ingegno e tecnica ha avuto bisogno di tempi e costi tutto sommato contenuti. La relativa brevità dei tempi necessari per la messa in opera dell’impianto da parte della locale Ditta Armetta, avviata subito dopo il nullaosta della Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali, si evince dai poco meno dei cinque mesi di fatto occorsi. La contenutezza, ancora più notevole, del costo dell’operazione rimasto a carico della Fabbriceria del Duomo e della Conferenza Episcopale Italiana, è detta dal suo ammontare a soli centoventimila euro.
Quest’ultimo dato in particolare si spiega con la sorta di gara della generosità che il Duomo stesso, da autentico patrimonio dell’umanità, ha saputo suscitare tra persone ed enti che qui è nuovamente doveroso ricordare.
Si ringraziano in questo senso i Tecnici sopra nominati, che hanno offerto gratuitamente la loro prestazione professionale; la Royal Philips Electronics, che ha fornito, anch’essa gratuitamente, i corpi illuminanti (oltre 200 unità) destinati all’illuminazione dei mosaici, dei soffitti e dell’aula liturgica; la Sonepar Italia, che ha contribuito con ventimila euro per l’acquisto di altro materiale elettrico.
Ma naturalmente, al di sopra di ogni benemerenza umana, da riconoscere giustamente e degnamente; al di sopra dell’effetto stesso, per quanto altamente lodevole, della gara prima segnalata tra persone ricche di ingegno e di generosità, ossia al di sopra ma anche nell’occasione felice del dono di questo nuovo impianto di illuminazione, la nostra gratitudine e lode di credenti va a Colui che alla luce stessa ha dato esistenza all’origine del cosmo. A Colui, anzi, che, proprio dalla maestosa icona del Pantocratore della monrealese basilica d’oro, continua ad annunziare al mondo e ai secoli:
«Io sono la luce del mondo: chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Vangelo di Giovanni 8,12).
                                                                                 
                                                                            _  Mons. Salvatore Di Cristina
                                                                                 Arcivescovo di Monreale

lunedì 16 aprile 2012

La Grutta a Sutera

La Grutta è un monolocale realizzato nel quartiere Rabato del comune di Sutera. Posto nel baricentro della Sicilia, Sutera è uno dei più antichi paesi siciliani e sorge ai piedi del monte San Paolino alto circa 200 metri. Il quartiere Rabato è il più antico, è esposto ad Est ed è costuito da piccole case (vedi fig.1) realizzate su grossi massi di pietre di gesso staccatesi, nei mellenni passati, dal monte che li sovrasta.
      La Grutta è stata ricavata tra tali massi e le sue pareti sono in gran parte costituite da cristalli di gesso chiaramente visibili nelle foto che seguono. Tra i massi vi sono caverne che si addentrano nella montagna per molte decine di metri e da cui esce aria la cui temperatura è la media stagionale (nel nostro caso 11,5 C°). La Grutta è collegata a tali caverne ed in conseguenza la sua temperatura esterna (anche con gli infissi esterni aperti) non supera mai i 21° gradi. Alle ore 16,30 di ogni giorno tutto il Rabato viene investito dall'ombra della montagna ed è consuetudine che gruppi di persone siedano fuori dalle case a chiacchierare. Per le vie del Rabato non circolano macchine ed il silenzio è assoluto sia di giorno che di notte. Le costruzioni e le ristrutturazioni sono sottoposte a rigidi vincoli dalla Soprintendenza ai BB. CC. 
      Gli altri due quartieri di Sutera sono:
- il Rabatello, esposto a Sud, dove si trova la chiesa del Carmine che custodisce la statua della Madonna del Soccorso che il suterese Francesco Salamone (uno dei tredici della disfida di Barletta) fece realizzare in segno di gratitudine per avere vinto nella disfida;
- il Giardinello, esposto ad Ovest, è il quartiere più grande e recente in cui sono ubicati tutti gli uffici, le scuole, il municipio e la chiesa di Sant'Agata.



Fig. 1 - Il quartiere Rabato. Il segnale rosso indica il sito di La Grutta in via Monteserrato. Sullo sfondo si vede la Chiesa Madre ed il suo campanile.


Fig. 2 - Il prospetto di La Grutta con l'insegna posta tra la porta d'ingresso e la finestra. Sulla sinistra è la panchina su cui ci si siede per chiacchierare con i vicini.


Fig.3 - Una vista de La Grutta che mostra anche la montagna S. Paolino che la sovrasta.

Fig. 4 - L'ingresso e la finestra di La Grutta di notte

Fig. 5 - L'indicazione scolpita in legno posta accanto alla porta.

Fig. 6 - La parete interna, a destra entrando, di notte.

Fig. 7 - La stessa parete di fig. 6 di giorno.
Fig. 19 Particolare della parete a destra entrando.

Fig. 8 - L'angolo cottura, a sinistra, e l'ingresso ai servizi igienici.

Fig. 9 - La parete esterna con porta d'ingresso e finestra esterne.
 
Fig. 10 - L'interno dei servizi igienici.
Fig. 16 Parte alta dell'angolo cottura.

Fig. 11 - L'angolo cottura con "lu lemmu" che funge da lavello, i fornelli elettrici e, sotto, il frigorifero.

Fig. 21 - Parete a sinistra entrando. Divanoletto.

Fig. 15 - Capezzale (la Madonnina di Lourdes) incassato nella roccia, posto nella parete sul divanoletto.

Fig. 12 - L'interno del locale servizi igienici. Sulla destra il box per la doccia.


Fig. 13 - La parte alta dell'angolo cottura.

Fig. 14 - L'interno dei servizi igienici con il foro per l'aspirazione dell'aria e lo scaldabagno.

lunedì 16 gennaio 2012

Stefano Diprima: "NELLA CHIESA E NELLA SOCIETA'"



PRESENTAZIONE
         Questo volume raccoglie prevalentemente alcuni degli articoli e saggi che l’autore è venuto pubblicando negli ultimi anni in due periodici, a carattere locale ma a larga diffusione anche extraprovinciale, in cui egli è stato importante parte attiva come redattore e, per uno dei due, esclusivo curatore: «Argomenti» e «Chiesa nissena in cammino» (inserto de «La Voce di Campofranco»).
         La raccolta permette (innanzitutto all’autore) di tentare una sorta di bilancio, seppur parziale, di un impegno di presenza attiva ed anche di attenta riflessione nella comunità locale – comunale e provinciale – che si prolunga ormai da anni e che più recentemente ha trovato un modo significativo di esprimersi, per l’appunto, nella pubblicazione di vari scritti nei due citati periodici: brevi interventi di puntualizzazione su una particolare questione, distese esposizioni di propri punti di vista, puntuali ricostruzioni di vicende vissute in prima persona o comunque seguite molto da vicino, ricerche personalmente condotte con il ricorso a strumenti d’indagine di tipo economico e sociologico.
         Sono scritti nati dall’esigenza di conoscere con maggiore puntualità, al di là delle facili generalizzazioni e degli slogan correnti, la realtà umana – sociale, religiosa, culturale, economica – in cui l’autore vive e dal desiderio, nello stesso tempo, di comunicare con chi vive e sperimenta la stessa realtà. Il loro intento è, insomma, sempre quello di stabilire un rapporto, di esporre una propria visione delle cose in funzione di un dialogo e di un confronto che siano fecondi di un attivo protagonismo collettivo nella comunità locale. Dunque, non il perseguimento di una conoscenza astratta o anche solo distaccata ma, al contrario, una volontà umile e tenace di comprendere per partecipare, di intendere per rendersi parte consapevole e attiva.
         I temi trattati sono riconducibili a due distinti filoni: l’esperienza nella comunità ecclesiale – parrocchiale e diocesano – e l’interesse per lo sviluppo – culturale ed economico – della società civile nella sua dimensione locale, cittadina e provinciale.
         Sono ambiti oggettivamente distinti – cui corrispondono modalità diverse di presenza e di partecipazione – e tuttavia intrecciati nella concreta soggettività dell’autore che trae dalla fede cristiana e dall’appartenenza ecclesiale i motivi ispiratori del suo impegno civile.
         La riproposta di questi scritti in un volume risponde allo stesso intento che ha guidato la loro prima pubblicazione: «esporsi» in un libero confronto su temi ricadenti nell’interesse diretto e nella conoscenza specifica di larga parte delle persone che vivono la sua stessa esperienza nel medesimo ambito territoriale e che, in tal modo, sono sollecitate alla riflessione e al dialogo.
         L’operazione non è priva di rischio. Potrebbe non trovare gli interlocutori che cerca, nel numero e nella disponibilità (a leggere e confrontarsi) auspicabili. Credo, però, che sia valsa la pena di correre il rischio. L’autore – per come mi è dato di conoscerlo – è uomo che ama correre simili rischi. E, comunque, ritengo che si tratti di rischio relativo, perché gli scritti qui raccolti hanno avuto già, al tempo della loro prima pubblicazione, interessati lettori che troveranno comodo ora poterli scorrere in un unico volume.
Per tanti di questi lettori – tra i quali mi pongo anch’io – il volume di Stefano Diprima costituisce, però, prima che un’utile raccolta di testi dispersi nei numeri dei due periodici prima ricordati, un dono prezioso, perché segno di quell’impegno di presenza e di servizio nella società locale di cui gli scritti sono solo una parte pur significativa. In questo senso il libro richiama e, nello stesso tempo, rappresenta, pur parzialmente, una testimonianza di vita di cui intendo qui dichiararmi personalmente grato all’autore.
                                                                           Cataldo Naro